Lorenzo

L’inizio della pandemia ha comportato la sospensione di gran parte delle attività e tutta una serie di restrizioni utili a salvaguardare la propria e l’altrui salute. Di conseguenza, le regolarità quotidiane hanno subito uno scombussolamento, facendo saltare i meccanismi della routine. Di quest’ultima era parte integrante l’impegno per il Servizio Civile, i cui ritmi scandivano una parte importante della giornata.

Il tempo acquista significato perché è scandito dalle attività, dove per attività si intenda una trasformazione intenzionale dello stato di un qualcosa, a partire da se stessi. In questo senso, le ore passate in sede ogni giorno contribuivano alla personale costruzione del tempo e, di conseguenza, del nostro essere. Così, soprattutto durante le prime settimane, non avere più questi intervalli ha comportato un generale spaesamento. Una condizione che, oltre ai caratteri di novità assoluta e conseguente senso di impotenza, era resa ancora più difficile da affrontare perché indeterminata nella durata. Come tutti, allora, ci siamo inventati le più disparate attività per scandire il nostro tempo, palleggiandole dalla realtà alla dimensione social. La musica ogni giorno alle 18, la condivisione delle recensioni dei libri letti, la pizza in casa il sabato sera e altri simulacri di normalità introdotti per scandire in momenti diversi quello che altrimenti sarebbe stato un tempo interminabile, senza soluzione di continuità.

Rientrare in servizio a metà aprile non è stato semplice. Si è dovuto far fronte allo stato di eccezione che ci si trovava a vivere, motivo per cui si è adottato il lavoro da remoto. Tra i compiti assegnatici c’è stata anche l’intervista ad altri colleghi del Servizio Civile. Anche se da remoto, è stato un modo per riprendere i contatti tra di noi. Certo, un surrogato dei momenti di aggregazione, ma comunque utile anche per confrontarsi rispetto alle impressioni su questo imprevisto nel percorso del servizio e sulle difficoltà incontrate nel portare avanti le rispettive attività. Forse, è stato anche un modo per riflettere sulle prospettive future collettive e personali, per trovare i lati positivi di quello che questa deviazione di percorso lascia in ognuno di noi. Nel tempo è difficile orientarsi, perciò mettiamo delle boe lì dove ci sono eventi che riteniamo rilevanti nella nostra vita. Certamente il 2020 lo ricorderemo come l’anno della pandemia, ma per noi volontari sarà anche l’anno del Servizio Civile. Il suo carattere di unicità, probabilmente, negli anni servirà a rafforzare la memoria personale di un evento condiviso, di un’esperienza unica e paradossale vissuta, in un certo modo, uniti nella distanza.

Federica

Federica, 23 anni, volontaria del progetto Studio e non solo

A gennaio ho iniziato una nuova avventura: il servizio civile nazionale. Già dopo il primo incontro in sede, avevo capito che mi aspettava una gran bella avventura, fatta di incontri, sorrisi e senso di solidarietà. I mesi di gennaio e febbraio sono stati intensi e conciliare i turni di lavoro con gli orari delle lezioni all’università è stato per me l’impegno più difficile. Per fortuna ho sempre avuto sostegno! In sede è stata fondamentale la presenza dei miei colleghi, sempre pronti ad aiutarmi, e dei nostri responsabili che non hanno mai perso occasione per farci sorridere e divertire, nei momenti di pausa. A volte mi sono sentita scoraggiata, sopraffatta dagli impegni, ma sono stata anche tanto fortunata ad aver incontrato persone che mi hanno sempre spronata a fare del mio meglio e a non mollare. Le ore di lavoro si sono susseguite in modo così veloce che mi sembra così lontano adesso immaginarci tutti lì.

È dal 10  marzo che non ci incontriamo, che non facciamo le attività che facevamo prima. L’attività che maggiormente ho apprezzato nei due mesi di lavoro in sede sono state le formazioni, momenti d’incontro e di confronto con altri volontari. Ricordo bene le sensazioni all’arrivo in sede: ansia, paura di sbagliare. Tutti timori infondati, perché dopo neanche mezz’oretta eravamo tutti in giardino seduti in cerchio a parlare e ad esporre davanti a “sconosciuti” le proprie esperienze.  Questi momenti mi resteranno in mente. Mi manca soprattutto il contatto umano, poter aiutare un utente dal vivo, in sede. Mi manca poter chiedere aiuto ai responsabili, sempre pronte a spiegarmi passo per passo cosa c’era da fare.

Le attività che ora sto svolgendo da remoto riguardano prevalentemente il supporto organizzativo e comunicativo. Per lavorare in questa nuova modalità abbiamo creato una piattaforma comune, per la condivisione di file word o excel, con i responsabili della sede su di una piattaforma. Sicuramente l’attività in sede è molto più interattiva e viva, ma anche questa nuova modalità è utile. Abbiamo sicuramente dovuto adeguarci agli strumenti che avevamo e abbiamo a disposizione, ma credo che la cosa più interessante sia che, scambiandoci informazioni tra noi, abbiamo imparato molte cose in più e ad utilizzare strumenti di comunicazione nuovi. Io personalmente sto migliorando le mie capacità nell’utilizzo di piattaforme, software e microsoft excel.

Spero che tutto possa tornare alla “normalità” il prima possibile.

Il contatto fisico: la nostra prima forma di comunicazione. Sicurezza, protezione, conforto: tutto nella dolce carezza di un dito o di due labbra che sfiorano una guancia morbida. Ci unisce quando siamo felici, ci sostiene nei momenti di paura, ci emoziona nei momenti di passione e amore. […] Ma non ho mai capito l’importanza di quel tocco, del suo tocco, fino a quando non ho potuto più averlo.” (dal film A un metro da te).

Martina

Martina, 29 anni, volontaria del progetto GEA: giovani e ambiente

L’emergenza sanitaria che si è verificata negli ultimi mesi ha cambiato moltissimi aspetti che prima consideravo parte integrante della mia quotidianità, soprattutto nell’ambito del mio impegno per il servizio civile.

Primo fra tutti, il recarmi tutti i giorni in sede e l’entrare in contatto con i colleghi non è stato più possibile e anche solo questo è bastato a cambiare completamente la prospettiva con cui guardavo il mio dovere, in quanto le mansioni che ho sempre svolto mi trovavano spesso coinvolta con gli altri attraverso un confronto ed uno scambio di informazioni immediato.

L’attività da remoto principalmente ha avuto lo scopo di mantenere il più possibile il contatto tra colleghi, necessario sia per lo svolgimento corretto dei compiti a noi assegnati sia per organizzare al meglio le attività e i programmi futuri. Grazie a frequenti incontri online è stato possibile prendere parte alle proposte avanzate da ciascuno di noi e di valutarle insieme. La mia mansione principale è stata quella di occuparmi degli aspetti organizzativi in collaborazione con i responsabili della sede.

Si vive il cambiamento su più aspetti: la distanza, l’impiego di nuovi metodi per restare a contatto con la gente e offrire lo stesso i servizi di cui ci si è sempre occupati, le sensazioni e lo stato d’animo di chi si impegna quotidianamente e di chi usufruisce di tali attività.

Personalmente mi adatto con impegno ai mutamenti, perciò dove ci sono state delle mancanze dovute all’assenza di contatto “faccia a faccia” sono riuscita a trovare aspetti che hanno potuto compensare qualcosa di così importante; per questo non ho sofferto tantissimo la novità dovuta alla quarantena, sono riuscita ad organizzare il mio tempo, a lavorare con la stessa concentrazione e a mantenere il contatto con gli altri scoprendo stimolante il coinvolgimento in attività diverse rispetto a quella abituale.

Luana

Luana, 27 anni, volontaria del progetto Studio e non solo.

Alcuni volontari del servizio civile hanno iniziato il lavoro da remoto dopo il DPCM. Come volontaria anche per me è iniziato un periodo di lavoro da casa.

Le mie mansioni sono, ovviamente, cambiate e le difficoltà, se pur non molte, erano presenti.
Il lavoro da casa è stato un piacevole stacco dalla routine della reclusione causata dalla pandemia.
Tra le varie mansione assegnatemi, oltre supportare dal punto organizzativo l’associazione, ho avuto la possibilità di interagire con i alcuni referenti di diversi progetti, per la stesura di interviste.
È stata un’esperienza di distinguo che mi ha permesso di raggiungere l’argomento cardine del servizio civile, in particolare, potendo apprendere in prima persona l’interazione tra le figure di riferimento e i volontari. Mi sono addentrata sempre più nel significato che ogni volontario dà al servizio civile.
Questo è stato possibile grazie a volontari che si sono resi disponibili a rispondere a domande per la realizzazione di interviste. Ciò che ne evince è non tanto la difficoltà del lavoro da remoto, ma l’idea comune che l’esperienza del servizio civile sarà diversa rispetto a quella di volontari degli anni precedenti, non potendo stabilire i rapporti nel modo convenzionale.

Credo che, nonostante il lavoro non tradizionale svolto in questo periodo, avremo dei risultati ed amplieremo di molto le vedute del volontariato.

In conclusione, la pandemia ci ha tolto molto, ma ci ha fatto fare passi da giganti in altri ambiti. Tutte queste innovazioni serviranno un domani.
Sarà questo il nostro lascito per i futuri volontari.