Arciragazzi “Gatto con gli stivali”

L’emergenza sanitaria ha rappresentato una notevole sfida per gli enti del Terzo settore che svolgono attività educative.
A Diego Leone, coordinatore dell’Arciragazzi Gatto con gli stivali, chiediamo come l’associazione ha riorganizzato le proprie attività per rispondere nel modo più efficace possibile.

Quale è stato l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla vostra attività educativa?
Il nostro lavoro quotidiano, o come amiamo chiamarlo noi “missione”, ha come obiettivo il rispetto della Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia, siglata nel lontano 1989 ma che ancora attualmente vede completamente disattesi alcuni articoli in alcune zone del mondo non troppo distanti da noi.
Molto importante per il raggiungimento di tale obiettivo è la metodologia che usiamo quotidianamente, basata sul rapporto umano, sull’empatia, sul riconoscimento di alcuni segnali che i bambini ci lanciano molto spesso non verbalmente ma con atteggiamenti o linguaggi del corpo che abbiamo imparato a decifrare con lo studio e con l’esperienza.
Tutte cose, queste, che sono venute a mancare dai primi di marzo di quest’anno a causa dell’emergenza COVID-19.

Quali modifiche sono state apportate alle attività per adeguarle all’emergenza sanitaria e quali strumenti avete usato?
Le attività del nostro centro di aggregazione sono state chiuse dalla sera alla mattina. Ci siamo ritrovati, dopo un attimo di smarrimento, a ripensare e organizzare tutto il nostro quotidiano con l’utilizzo di metodologie e strumenti che neanche conoscevamo a fondo prima d’ora. Abbiamo cercato innanzitutto di capire quali fossero i canali maggiormente utilizzati dai “nostri” ragazzi, e abbiamo contattato telefonicamente tutte le famiglie per dare un segnale di presenza, anche se distanti. Ci siamo messi a loro disposizione per quanto riguarda il supporto tecnico ai software utilizzati dalle scuole (non sempre intuitivi e sui quali anche gli insegnanti ahimè hanno difficoltà ad utilizzare), abbiamo organizzato il sostegno scolastico uno a uno con videochiamate, abbiamo creato una pagina Facebook dove ogni giorno pubblichiamo varie rubriche al momento molto seguite dai ragazzi.

Come avete organizzato le attività?
Per fortuna nella nostra organizzazione possiamo fare affidamento su un gruppo di volontari in servizio civile, ognuno con peculiarità diverse.
Abbiamo affidato il supporto tecnico ai software a operatori e ragazzi maggiormente pratici.
Il sostegno scolastico è stato pensato proprio partendo con queste peculiarità, dividendo per materie le richieste che ci sono arrivate dai ragazzi, e assegnandole al volontario più preparato su quell’argomento.
Possiamo fare affidamento anche a particolari competenze che in questo periodo ci sono state molto utili. Solo per esempio, una volontaria in servizio civile bravissima con il disegno e la relativa applicazione su software appositi. Questo ci ha permesso di sviluppare una rubrica, dedicata soprattutto a bambini più piccoli, che è di certo una delle più seguite sulla pagina Facebook.

Ci sono dei riscontri positivi?
I riscontri sono stati positivi sebbene, con il perdurare di questa situazione, diventa difficile mantenere i rapporti e l’attenzione nel tempo. Non la chiamerei tanto un’attività a distanza, ma di emergenza.
Non esiste, secondo me, didattica o educazione a distanza. Esistono modalità che in un periodo di emergenza sono senza dubbio meglio di niente.

Potrebbero presentarsi delle difficoltà in futuro nell’utilizzare tale modalità?
Rispetto al coordinamento degli operatori e dei volontari in servizio civile penso di no. Le difficoltà inizialmente riscontrate sono dovute a un repentino cambio di modalità senza, giustamente, un congruo preavviso. Adesso siamo pronti, qualora ve ne fosse di nuovo l’esigenza (e onestamente non ce lo auguriamo).

Cos’è cambiato nelle interazioni tra i volontari e qual è l’umore generale?
L’atteggiamento dei volontari in questa situazione è stato positivo e propositivo. Hanno lo stesso interesse che li ha spinti a fare domanda di servizio civile e sentono forte l’esigenza di sentirsi utili in un periodo che i nostri figli troveranno descritto nei libri di storia.

Tyrrhenoi

Gennaro Carbone, responsabile dell’associazione Tyrrhenoi, ci racconta come l’associazione ha riorganizzato le proprie attività.

Come ha risposto l’associazione Tyrrhenoi all’emergenza COVID19?
Tutte le attività si svolgono da remoto, tramite i canali già utilizzati dai vari ragazzi per l’istruzione a distanza, quindi abbiamo perseguito tale sentiero, che è risultato vantaggioso per velocizzare la ripartenza delle nostre attività da remoto. L’organizzazione si è sviluppata pian piano, i volontari hanno contattato i vari ragazzi e strutturato gli incontri per lo svolgimento del dopo scuola.

Quali sono state le difficoltà per la partenza delle attività da remoto?
Gli unici problemi che abbiamo riscontrato sono i limiti tecnologici delle famiglie; non tutti i genitori, infatti, sono in grado di utilizzare tali canali. I nostri volontari, invece, erano già avvezzi alla tecnologia da utilizzare.

Come e quanto sono coinvolti i volontari?
Prima del Covid19, i volontari erano riusciti a stabilire un rapporto solido con i nostri utenti, che vivevano delle realtà complicate anche prima dell’emergenza sanitaria. Inizialmente, è stato spiacevole non poter continuare le attività con i bambini, proprio per il rapporto che si è instaurato. Quando siamo ripartiti in remoto i volontari si sono mostrati fin da subito disponibili, mettendo a disposizione i propri dispositivi per poter svolgere le attività. Abbiamo continuato con il doposcuola e creato attività ludiche da scaricare dal pc. Inoltre, i bambini e le loro famiglie, possono contare sull’assistenza di una psicologa, che fa parte dell’organico dei volontari.

Quali difficolta avete rilevato?
Bisogna considerare che si è abbassato di molto il rapporto numerico tra volontari e bambini: se prima un solo volontario poteva occuparsi di più bambini contemporaneamente, ora i volontari possono assistere un bambino per volta e per poco tempo. Quindi anche gli obbiettivi devono essere rimodulati in base a questi cambiamenti. La preoccupazione che mi preme mettere in luce è il carico di lavoro che deve essere svolto avanti ad uno schermo da parte dei bambini.

Associazione Archimede

Come le altre associazioni universitarie, anche l’associazione Archimede ha dovuto ripensare radicalmente la propria organizzazione in conseguenza dell’emergenza.
Ne parliamo con Francesco Ienco, presidente dell’associazione.

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Come avete adeguato le vostre attività in risposta a questa emergenza?
Insieme con i volontari abbiamo cercato di continuare le attività abituali, condividendo, attraverso mezzi come Instagram, Whatsapp, piattaforme come Teams e Zoom, materiale didattico (riassunti, rielaborazioni di appunti e dispense) al fine di sostenere gli studenti nella preparazione degli esami. Abbiamo realizzato attraverso dirette Facebook, dibatti culturali e seminari su tematiche giovanili e creato vademecum per gli studenti.

Quali difficoltà sono state riscontrate?
L’arretratezza tecnologica riscontrata in alcune situazioni, anche se abbiamo rilevato anche dei vantaggi. I volontari, infatti, hanno potuto svolgere le attività da casa, evitando gli spostamenti all’università, stando comodamente “in pigiama”, senza costi di gestione personale. Questo ha favorito una maggiore disponibilità.

Hai qualche consiglio da dare su come gestire un’associazione in tali situazioni di emergenza?
Credo che sia più efficace ricevere le informazioni via mail, piuttosto che a voce o per telefono. Il mondo social, Whatsapp, Instagram, Facebook è un canale importante poiché permette di intercettare potenziali utenti ed informarli.

SuiGeneris

Come ha affrontato l’emergenza sanitaria un’associazione che normalmente aveva nel rapporto diretto con gli studenti uno dei principali elementi distintivi?
Ne parliamo con Valeria Della Corte, presidente dell’associazione universitaria SuiGeneris.

SuiGeneris

Come funzionava l’associazione prima della pandemia?
Essendo un’associazione universitaria, l’attività principale era quella di info-point. I volontari svolgevano attività di supporto rispetto a problematiche studentesche quali domande di borsa di studio, compilazione piano di studi, tesi di laurea.

Adesso che tipo di attività fate?
Negli ultimi mesi è stato attivato un centralino d’ascolto di tipo VOIP con un numero fisso al quale gli studenti possono telefonare. È stato creato un vademecum per la didattica a distanza, costituito da file pdf dettanti le regole per l’utilizzo delle piattaforme Teams e Zoom. Inoltre, abbiamo condiviso attraverso Whatsapp e la pagina Facebook file di appunti, in modo da supportare gli studenti nella preparazione degli esami, in quanto abbiamo riscontrato una generale difficoltà nel reperire i testi i universitari.

Qualche consiglio su come gestire un’associazione in situazioni di simile emergenza?
Bisognerebbe cercare di adattarsi alle esigenze dei ragazzi. Utilizzare il mondo social, prevalentemente Instagram, che ha un impatto diretto sull’interesse dei singoli destinatari del progetto. Via social si possono ricercare ed intercettare potenziali utenti al fine di informarli.

A seguire i link:

Facebook- https://it-it.facebook.com/SuiGenerisUNISA/

Instagram- SuiGeneris

Motus

L’associazione universitaria Motus è tra quelle che ha saputo reagire in modo più creativo ed efficace alle limitazioni “fisiche” causate dall’emergenza sanitaria.
Chiadiamo al presidente Vincenzo Talotta le soluzioni individuate.

Come avete modificato le vostre abituali attività per fare fronte all’emergenza sanitaria e quali strumenti sono stati usati?
Dall’emanazione del DPCM la sede, essendo posta all’interno della struttura universitaria, è stata chiusa. Di conseguenza, con non poche difficoltà, abbiamo dovuto adeguarci alle nuove condizioni. Abbiamo comprato la licenza per una piattaforma che ci ha permesso di gestire le attività dell’associazione e il lavoro dei nostri volontari. In questo modo, siamo riusciti a fornire a tutti i volontari una app in grado di facilitare notevolmente la comunicazione tra i membri interni e lo svolgimento del proprio lavoro da remoto.

Come funziona la piattaforma?
La piattaforma permette ai volontari di ricevere le chiamate da parte degli studenti dell’ateneo, garantendone la privacy e funzionando come un qualsiasi device telefonico. Gli utenti chiamano al nostro numero e la telefonata viene indirizzata al primo volontario libero. Avendo un buon numero di volontari, fin ora non abbiamo avuto nessun problema di attesa. In questo modo è stato possibile continuare a portare avanti l’attività di info-point. Infine, abbiamo tentato di avviare anche qualche attività ludiche, ma il loro sviluppo risulta difficile.

Di cosa vi occupate principalmente e riuscite ad ottenere i risultati sperati?
Principalmente chiariamo le nuove modalità riguardanti la didattica e raccogliamo le varie difficoltà e problematiche che gli studenti ci riferiscono in merito. Siamo tenuti molto in considerazione dagli organi universitari, consigli didattici e dipartimenti, perché rappresentiamo uno strumento di comunicazione aggiuntivo che arricchisce i canali già presenti. Quindi, possiamo sicuramente dire che i risultati ci sono e sono visibili.

Cos’è cambiato nelle interazioni tra i volontari e qual è l’umore generale?
I volontari, grazie anche alla possibilità di poter comunicare tra loro tramite la piattaforma, hanno rafforzato il legame tra di loro e sono felici di rendersi utili in questi giorni di distanziamento sociale. Insomma, si può dire che l’unico cambiamento sia stato quello relativo all’aumento delle distanze.

Quali sono state le difficoltà per la partenza da remoto del progetto?
La vera grande difficoltà è stata sicuramente l’organizzazione della modalità da remoto. Dopo diversi interrogativi, l’utilizzo di una piattaforma ci è sembrata lo strumento più efficace per la gestione della situazione. Un’altra difficoltà è stata quella di creare una piattaforma capace di essere utilizzata da così tante persone, considerando che della nostra associazione ci sono circa 20 volontari. In questo momento il nostro lavoro è marginale ed è giusto che venga svolto da remoto, senza mettere in pericolo nessuno. L’unica cosa che in questo periodo si può fare è restare il più possibile a casa e salvaguardare la salute di chi ci è vicino. Sicuramente l’emergenza sanitaria ci ha isolati come individui, ma ci ha fatto crescere come comunità.